15 marzo 2011

StraMarmellata. Pure bruciata.


Che questo non fosse un blog di cucina, lo si era capito da un pezzo.
Diciamo solo un pò, che è meglio.
Stasera sia aveva voglia di dolcezze, lassù nella casa in collina. Ha piovuto a nastro, si è tutto un pò stanchi e svogliati e hai voglia a vitamine, Supradyn, intrugli omeopatici e sniffate al rosmarino, qui ci vuole qualcosa di strong.
In realtà, questa ricetta ha due valenze. La prima è fare un dolcetto, la seconda è togliersi di torno due vasetti pieni a metà di seppur blasonatissima marmellata, che soggiornavano da tempo immemore nel secondo ripiano del mio frigorifero, quello di destra.
E' una torta fatta a muzzo, come si dice.
Nessuno me l'ha insegnata, ho usato quel che c'era, there is quel che 'l there is.
E c'era, anzi c'erano:
350 grammi di farina Biancaflor autolievitante, che mi risolve un sacco, perchè quando ho la farina non ho il lievito e quando ho il lievito non ho la farina e invece così, sto apposto.
Poi.
4 uova
150 grammi di zucchero, di quello fine 
una bustina di Vanillina, che bel nome per una bambina, Vanillina.
La scorza di uno dei MIEI limoni, grattata con la meravigliosa grattugia che mi hanno regalato le mie amiche.
Ah, e uno scodellino di yogurt alla vaniglia che scade domani. Non che dobbiate aspettare che stia per scadere per fare la torta, ma insomma, aiuta.
Quando l'impasto è pronto ne metterete una metà nello stampo da voi scelto, distribuirete con classe cucchiaiate di marmellata random e poi coprirete tutta la questione con il resto dell'impasto.
Nel frattempo,avrete già scaldato il forno a 180 gradi dove terrete la vostra torta per circa una mezz'ora o giù di lì.
Prima di toglierla dallo stampo lasciatela raffreddare per benissimo, altrimenti si appiccica e addio effetto scenico.
L'unica cosa che non dovete fare nel frattempo è andare a svuotare la lavatrice.
Svuotando la lavatrice, la torta si brucicchia.
E' una legge di Murphy, lo sa il mondo intero.

26 gennaio 2011

Il break del sottobosco.

Oramai tutti sanno che uno dei piccoli irrinunciabili piaceri della vita è un caffè o un thè con le mie Amiche. Indistintamente, di presenza o quantunque col pensiero. Nel senso che se esiste un tale evento di persona,  nella mia città, in un bar del centro, con Amiche autoctone ed ivi residenti, esiste anche l'evento virtuale, in contemporanea, a reti unificate, per dir così. Lei in ufficio, io nella mia cucina, il rumore della Nespresso che  si sente al telefono, si parla di tutto quello che c'è da parlare e nel mentre si sorseggia con grazia, dall'apposita buffa scodellina, il caffè prescelto, sia esso Volluto o Roma, o l'edizione limitata alla mandorla. Questo succede , in un connubio telematico, telefonico e teleferico tra Torino e casa mia.
Per rendere tutto ciò più gradito, che si ha bisogno di gratificarsi ogni tanto, eccheccavolo, ecco che ho preparato dei dolcetti del Sottobosco, sempre liberamente tratti dalle ricette di Csaba, ma io non ho gli stampini fatti a rosa o meglio, non ancora, perchè li ho già adocchiati in una vetrina di via San Lorenzo e presto saranno miei. Una piccolissima pausa con una simile delizia fa bene all'anima, al cuore, allo spirito e al sentimento, e già che ci siamo pure all'ispirazione. Ma la prossima volta ne dovrò fare una doppia razione, sennò, Knitaly, ma come fa?
Ora, per avere i dolcetti del sottobosco si deve far così

125 grammi di burro

125 grammi di zucchero
2 uova
185 grammi di farina Biancaflor che lievita da sè medesima
180 cc di latte (che io invece ho dimenticato)
1 fialetta di aroma alla vaniglia

due cucchiai colmi di frutti di bosco, in realtà ci vorrebbero i lamponi freschi e già questo la dice lunghissima sulla mia approssimazione, ma devo dire che il risultato è eccellente e allora va bene uguale.

Ho sbattuto nel KA il burro e lo zucchero, ci ho setacciato piano la farina e ho continuato a sbattere,, ho aggiunto la vaniglia e i frutti di bosco per ultimi e senza più sbattere, però.
Po,i concentratissima ho riempito col composto i pirrottini di carta nello stampo dei muffins e ho infornato a 170 ° per una ventina di minuti a seconda del vostro forno, se lo conoscete se c'avete confidenza, se sapete che tipo è. I dolcetti non devono stracuocere, devono solo dorare un pò e rimanere morbidisssssimi. 
Da consumare in multipli di 2.
Se no, non vale.

23 gennaio 2011

Focaccine on demand.

E' stato un week end di grande cucina. Non tanto per la qualità o per aver preparato piatti sofisticatissimi. Invero ho preparato delle cose semplicissime, scopiazzate qua e là, ma cucinare mi ha fatto un gran bene e mi sa che dovrei farlo più spesso, se poi alla fine sto bene come sto. A parte i cupcakes di ieri, oggi m'è preso di fare delle focaccine, che avevo già fatto ieri l'altro, ma poi uno dei figlioli nemmeno era arrivato in tempo ad assaggiarle e perciò, come spesso succede per diversi piatti preparati nella cucina della Casa in Collina, occorre rifarle nel giro di pochi giorni, se non di poche ore proprio. Così si son rifatte, rovistando nella dispensa e trovando ancora della farina del Mulino Marino e mescolato alla Manitoba. Volutamente irregolari, non perfette, le focaccine, che ho copiato da Csaba, sono versatili, glamour e, manco a dirlo, buonissime. Sfamano figlioli pensierosi e indecifrabili, o arrivati in stato di semicongelamento dalla partita di calcio, o svenevoli fanciulle  innamorate dei Coldplay. Ottime da servire farcitissime con la qualsiasi, dal prosciutto al tacchino arrosto, anche se so di qualcuno che, amante degli stravizi, le ha sposate alla Nutella, e buone anche così, pescate con cura dal cestino, appena tiepide, morbidissime e invitanti. Facilissime, velocissime, meravigliose. Come tutte le cose non perfette.


Ecco cosa dovete avere per fare 18 focaccine.


600 grammi di farina, io ne ho messa metà di Manitoba e metà del Mulino Marino, farina 00, com'è ovvio.


300 grammi di acqua


1 cubetto di lievito, da sciogliere con grazia in una tazzina colorata.


sale


Lasciare  riposare l'impasto coperto con un panno ricamato, magari con scritto L'AMORE è CIOCCOLATO come il mio, per circa un'ora.


olio extravergine di oliva da spennellare prima di infornare a 235° per un quarto d'ora circa, che è l'operazione che mi piace di più fare, in assoluto









31 ottobre 2010

Torta di Halloween alla ricotta.

Lo so. Forse è una sorpresa. ma è troppo tempo che non mi dedico con passione e sdilinquimento a praticare pietanze e pietanzine, o forse non è granchè vero, qual che mi manca è l'ispirazione di mettere tutto qui, Santa Polenta è un blog di cucina con mazzi e contromazzi, non è che si possano scrivere cose a vanvera, ci va mestiere. Perciò, quando Laura stasera mi ha chiesto la ricetta della torta, voilà, mi sono detta, faccio prima a metterlo qui e buonasera. Ora, la ricetta di questa torta è fra le più banali al mondo. Io non ho alcun merito, non sono una cuoca, sbaglio le dosi, ci metto del mio, ma mi piace, quando ho il sentimento e la mia modalità è inserita su COOK. Perciò, eccome la strabiliante torta alla ricotta che mi ha reso popolarissima nel pomeriggio di Halloween.
Per tale sciccheria servono
300 grammi di farina Biancaflor (perchè spessissimo non ho il lievito per dolci e questa polverina bianca mi salva. La farina, intendo.)
250 grammi di ricotta
200 grammi di zucchero
3 uova
la buccia grattuggiata di un limone
Fine del complicato procedimento.
SI fa come di solito, le uova con lo zucchero, si aggiunge la ricotta, si sbatte e sbatte, io ho messo tutto nel Kitchen Aid, poi si mette la farina, si imburra una tortiera consona ed il gioco è bell'e fatto.
Ah, si mette in forno per 35 minuti a 180 gradi.
La meraviglia è trovare uno stampo scenografico. Ho già adocchiato quello a corona da avere coi punti Esselunga. Che donna oculata sarò mai.

18 gennaio 2009

La torta da sniffare.

Frutto di un sabato qualunque, si sfogliava con malagrazia una vecchia copia di Elle, dacchè alla Princi servivano immagini di pubblicità. Detto fatto, ci si imbattè in questa torta semplicissima, non già da gustare, o meglio, anche, ma soprattutto da annusare. Ossì, signora cara, questa torta è vero che è una banale torta di mele, ma quello che la rende strepitosa nella sua casalinga umiltà, sono proprio le spezie, per la precisione cannella e chiodi di garofano. Buonissima tuffata nel latte, qualcuno in giro per questa casa l'ha anche maritata, non visto, a una tazza di cioccolata fumante e densissima. Da provare, in assoluto, quando ci si sente un pò svogliati, infreddoliti e mezzi influenzati, o soltanto stanchi e scocciati. La terapia inizia già dal forno, quando Essa inizia a spandere per la cucina un profumo irresistibile. Lo sniffo aiuta, non è una novità.
Perciò, così si procede.
4 meline Annurka, dolcissime e croccantissime
200 gr di zucchero bianco
400 gr di farina per dolci
2 uova
150 gr di burro
2 cucchiai di zucchero di canna ( e già lì...)
Mezza bustina di lievito per dolci
5 chiodi di garofano sminuzzati
1 cucchiaino di cannella in polvere
Si impastano gli ingredienti come al solito, e da ultimo si aggiungono le mele Annurka a piccoli dadi, sottili, impalbabili, trasparenti. Col rigalimoni ( e scusate se è poco) si aggiungerà diciamo un due cucchiai colmi di scorza d'arancia di Ribera, lavata benissimo. Uno stampo da plum cake e il gioco è fatto.
Orsù, si sniffa.

31 agosto 2008

Di pesche e cioccolato.

Massì, ci andava di fare anche una torta. Da dividere coi vicini dell 12, gli ultimi rimasti, per festeggiare la fine dell'estate. Avevamo un sacchetto di farina aperto per metà, di quella autolievitante. Due pesche tristissime. Una cucchiaiata di gocce di cioccolato e un vasetto di yogurt magro. Così, insieme a due uova e un pò di zucchero di canna, la PrinciChef ha dato una bella mescolata a tutto, tagliuzzando con precisione millimetrica le pesche che da tristissime sono diventate gasate e simpatiche. Infornate nello stampo di gomma, quello dove non serve nemmeno un briciolo di burro, ed ecco qua. La sontuosa torta riciclata è pronta, fatta con le cose che non trasporti perchè è ridicolo ma che sarebbe un peccato vero buttare via, che nessun altro si ferma in vacanza, e quindi a nessuno, come tradizione vuole in questo villaggio, puoi lasciare gli avanzi tuoi, la marmellata a metà, il caffè appena aperto, il detersivo per i piatti. Essendo sempre l'ultima a partire, mi ritrovo spesso con il frigorifero e la dispensa stra-stra-pieno della spesa degli altri, che me ne hanno fatto dono. In fondo, partire per ultima non è poi così male.

Chi di rucola colpisce.

Non che sia proprio bravissima in economia domestica. Diciamo poprio no. Però, cerco di arrivare almeno alla sufficienza, stiracchiata, ma sufficienza. Mi impegno. Non che sia proprio bravissima a fare le valigie. Ennò, disse la voce fuori campo, passi per l'economia, ma le valigie, eh beh, quelle almeno me le deve saper fare. Non so fare la valigia del frigorifero. Non lo so svuotare. E che ci vuole, uno si accuccia lì davanti con un bel sacchetto di colore sgargiante, e ficca tutto dentro alla rinfusa, magari poi inserisce il sacchetto in una borsa termica ed è tutto fatto. No, no e no. Io avanzo. Tengo lì. Mi piange il cuore buttar via i limoni, il tubetto della maionese strizzato, quella povera prugna che mi guarda dal cassetto trasparente laggiù. Così, cerco di impiegare gli avanzi prima della mesta partenza. SI ben comprende che, in una magione dove hanno soggiornato nugoli di ragazzoni tutt'altro che inappetenti, gli avanzi possano, eccome, essere consistenti. nè sono valse le cene SiMangiaQuelCheC'è. Una povera mozzarella scadeva quest'oggi, la PrinciBiondissima e la scrivente hanno pensato di darle degna fine su un plebeo rotolo di base per la pizza già stesa. E poi, per dare un tocco di colore, una manciata di rucola nelle buste, che niente è più triste di vedere lentamente venir meno la rucola lavata dentro il suo sacchetto del supermercato. Così, è saltata fuori questa pizza inusuale, allegra nella sua sempicità. Qualcuno avrebbe il coraggio di dire che sono soltanto avanzi?

03 aprile 2008

Trazione integrale.

Quando m'acchiappa, m'acchiappa. Una torta veloce e semplice, la solita solita, quella noiosa, talmente genuina che insomma, non è che impazziscano proprio, in casa. Loro adorano i dolci complicati, i cannoli, magari, le meringhe, che Dio le abbia in gloria, ma quando è difficile fare una meringa degna di questo dolcissimo nome, che io ho dato qualche estate fa a una candida gatta randagia, mamma di un candido gattino randagio chiamato Burro? Ma, meringhe a parte, direi proprio che questa torta è, come dire, la torta della bisnonna. O della tristrisnonna. La base è la solita, solo, con la farina super-integrale-di-grano-saraceno-macinata-a-pietra-con-le-sante-manone-del-mugnaio. E poi, con lo zucchero che mi ha rubato il cuore. In verità, ho aggiunto anche un mezzo vasetto di amido di mais, così, per rendere il tutto più soffice. La mia torta integrale è pronta, fragrante e profumata. Certo, saporita non lo è, ma permette alle figliole che transitano in questa casa di azzannarne una fettina senza grossi sensi di colpa. Già questo basta a farmela adorare, testè.